Istanbul

Prima di partire per Istanbul, ho visto molteplici immagini, sia della metropoli moderna, sia della città antica e dei quartieri più caratteristici.

Ma soprattutto ho letto Istanbul di Orhan Pamuk un romanzo autobiografico in cui l'autore ritrate la sua città natale attraverso i ricordi dell'infanzia, attraverso le emozioni, la storia della sua famiglia, le passeggiate nei quartieri di Fatih e Beyouglu o lungo il Bosforo.

Racconti di una Istanbul malinconica, i vecchi palazzi nobiliari ormai dismessi, le case di legno ottomane, il mare, il Bosforo in inverno coperto dalla nebbia del mattino, le vecchie viuzze illuminate  dalle luci delle case con i vetri appannati.

Ci si sente trasportati in luoghi magici e si ha la sensazione di sentire in lontananza le sirene dei battelli che attraversano il Bosforo, di camminare attraverso le vie illuminate la sera dalle deboli luci dei lampioni a gas.

Pamuk nel breve lasso di tempo tra il dicembre del 2012 e l'aprile del 2013 aveva scattato dal balcone del suo studio a Istanbul più di ottomila fotografie che rispecchiano i suoi stati d'animo. Una selezione di queste immagini si trova nel volume Balkon.

Con queste premesse e con molte aspettative arrivo a Istanbul; per viaggiare leggero ho portato con me una Fuji X-E2 con il Fujinon XF 35 f 1.4 e il Fujinon XF 60 f 2.4 (utilizzata per la maggior parte del tempo) ed una Canon 5D mark III con il 135 f 2.

Nel tragitto tra l'aeroporto e il centro, scopro una città che mi stupisce per la sua vastità, che alterna parti molto moderne a quartieri dove il tempo sembra essersi fermato a 50 anni fa.

Da buon genovese, alloggio nel quartiere di Galata a poche decine di metri dalla torre che i miei concittadini avevano costruito nel 1300; un quartiere che si snoda su una collina prospiciente il mare, pieno di  strette viuzze. 

Scendendo lunga la via principale, si arriva al mare e al famoso ponte che porta al centro storico cittadino.




Sul ponte Galata, nella parte nord del Corno d'oro, una moltitudine di canne da pesca.









Finalmente arrivo nei quartieri di Fatih, Fener, Balat dove penso più si assapori l'anima della vecchia Istanbul. Una moltitudine di case colorate, tantissima gente che passeggia, affolla le piccole botteghe, sosta sulle porte delle case di legno ottomane; mercati colorati e molti profumi di spezie. 

Un ambiente malinconico; persone aperte, disponibili ma bisogna mostrare rispetto e non invadere. 

Spesso si pensa che una macchina fotografica al collo giustifichi qualsiasi intromissione nella vita altrui, ma non è così, occorre osservare con indiscrezione e cogliere quello che è possibile.




















Arriva la sera e, seguendo come un segugio le abitudini locali, trovo un posto magico lungo le rive del Bosforo per mangiare su dei tavoli spartani di legno dell'ottimo pesce fresco e bere della birra Efes ghiacciata.


Con grande nostalgia, torno all'aeroporto con la consapevolezza che quattro giorni sono stati troppo pochi e che tornerò.

Nel ricordare questo bellissimo viaggio, scopro che nel 2020 è stato pubblicato un nuovo libro di Pamuk, Orange, che costituisce una nuova tappa della sua ricerca fotografica alla ricerca dell'io, una raccolta di immagini scattate nelle sue passeggiate nei quartieri di Istanbul, soprattutto in quelli più vecchi e senza turisti, dove la dominante è la luce arancione delle finestre e dei vecchi lampioni che lui ben conosce e che lo riportano alla sua infanzia. Una luce accogliente che piano piano lascia il posto al cambiamento ed alle luci "bianche" della città moderna.


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